Pablo Neruda e l'Italia

Adattamento del testo di Ignazio Delogu da ''Viaggio nella Tunica Verde. Neruda in Italia 1949-1999''

Il primo soggiorno di Neruda in Italia risale alla fine del 1949. Fu forse casuale, ma fu anche l'occasione per un primo incontro con un Paese fino ad allora sconosciuto. Ciò che accadde dopo nella vita del Poeta, induce a credere che già da quell' incontro cominciò a prendere forma un progetto vitale e poetico che avrebbe potuto realizzarsi soltanto in Italia. Quel progetto ebbe presto un nome di persona, Matilde, e un nome di luogo, Capri. Ma l'Italia che il poeta vide per prima fu Roma. La città medievale e barocca, popolana e curiale, triviale e raffinata nella quale anche un provinciale, come Neruda con ironica modestia si definiva, poteva aggirarsi con facilità e con stupore.
Roma significò amicizie, cordialità e ammirazione. Dopo anni di guerre, di persecuzioni e di esili, significò soprattutto il ritorno ad una serenità dai molti impegni, certo, ma anche dai molti risarcimenti.A Roma ritrovò il compagno di sempre, il "querido confraire" il poeta andaluso Rafael Alberti, l'amico dell'esilio infinito e dell'infinita passione per la poesia e per la vita. 

Roma fu anche il centro dal quale la presenza di Neruda si diffuse nel paese. Cominciò dai Castelli, dal vino bevuto al tavolo di un'osteria su una strada di Frascati o di Marino, gli occhi ancora pieni del miracolo degli ulivi e dell' oliva, per raggiungere Napoli in un Capodanno 1950 di impressionante fragore. Eccesso presto compensato dai silenzi di Ravello, della costa amalfitana e di Capri. Qui al miracolo dell' amicizia si aggiunse quello della casa, del fuoco, dell'olio. Capri fu lo spazio felice al riparo dal vento e dal mare, e fu nuovamente la poesia: Las uvas y el viento, Los Versos del capitan, Cien sonetos de amor,  nascono o si concludono in quella serenità operosa.
L'Italia accademica e curiale tardò a capirlo, ma la gente semplice si riconobbe nella sua voce, in ciò che essa evocava di alto, di nobile e di umano. Lui, dal canto suo, prestò l'orecchio alle sue voci migliori: riscoprì Cino da Pistoia e Cavalcanti, Dante, Petrarca, le Rime di Galeazzo di Tarsia (dalle quali trasse i versi che dedicò a Bianca Tallone nell'Omaggio ai Maestro scomparso: "Donna che viva già portavi i giorni / chiari negli occhi ed or le notti apporti"), le voci femminili del Rinascimento, le Stanze del Poliziano, le ottave sfolgoranti dell' Orlando furioso che già avevano incantato il grande Ercilla che tanto amava, l'Aminta del Tasso e Leopardi, ritrovati nelle splendide edizioni dell' ammirato stampatore Alberto Tallone