Guido Guidi e il Teatro Valdoca. Lo Spazio della quiete come spazio-tempo dello sguardo
“Il pensiero è un posto piccolo, si, un posto piccolo”
“ma c'è dentro la chiave”
“già, per fortuna c'è dentro la chiave”
“Ti immagini restare sempre chiusi li dentro?”
“Dentro il pensiero intendi?”
“Già, dentro il pensiero, chiusi dentro.”
“È un argomento tremendo, non ci può riguardare.
Usciamo, usciamo, adesso usciamo”
IL LIBRO: "Lo spazio della quiete", Teatro della Valdoca, 1983
Nel 1983 il Teatro Valdoca propone per la prima volta “Lo Spazio della Quiete”, spettacolo ideato da Mariangela Gualtieri con la regia di Cesare Ronconi, creato in collaborazione con Paola Trombin e coinvolgendo Guido Guidi per la realizzazione di una serie di fotografie. Il libro omonimo raccoglie l'esperienza teatrale in un prezioso documento con gli interventi di Antonio Attisani, Ruggero Pierantoni, Paolo Costantini, Giorgio Celli, Carlo Infante, Piero Pieri, Paolo Pullega, i disegni e bozzetti di Mariangela Gualtieri, Paola Trombin e Cesare Ronconi, le fotografie di Guido Guidi e due bozzetti di scena di Ruggero Pierantoni.
Le immagini dello spazio fotografato da Guidi coincidono con l'azione teatrale. Fotografare il teatro, ma soprattutto il tempo del teatro, è una questione complessa che chiama in causa molti livelli di rappresentazione. Diventa necessaria la contemplazione, ma ancora di più entrare nella dinamica della contemplazione di uno spazio teatralizzato e che produce, non una, non qualcuna immagine, ma una propagazione di immagini. In questo caso attraverso linee e geometrie simboliche agite da due figure, tutto insieme costituisce uno sorta di spazio mentale senza tempo e quindi immerso in un tempo assoluto di svolgimento dell'azione.
Vediamo questo: due figure femminili abitano la scena, interrogano lo spazio, il tempo e i loro corpi sono immersi in questo tempo. Sentiamo che si interrogano sull'amore e sul linguaggio, producendo amore e linguaggio attraverso azioni solitarie e poi reciproche, evocate da formule magiche, da poesie dialoganti: “usciamo, usciamo, adesso usciamo”. Indipendenti poi dipendenti, si misurano man mano, trovano equilibrio e lo perdono. Le due donne sembrano aiutarsi a comprendere un nuovo alfabeto, fatto di segni e simboli sparpagliati nello spazio-tempo intorno a loro, infine, si aiutano a comprendersi.
Si mostrano in un cono di luce, scompaiono e vengono allo scoperto: “Sono viste solo le cose che cadono sotto un raggio dello sguardo e solo quelle cose che cadono sotto il raggio dello sguardo sono viste”, questo è il cono di luce del teatro e anche della fotografia. Vedere ciò che si mostra allo sguardo grazie all'azione di una materia luminosa e oscura. Lo spazio-tempo dello sguardo, che si sveglia e si quieta su un oggetto, una superficie, un evento e lo trasforma in una materia propria e mentale.
“La complessità biologica della visione è il protoplasma di questo lavoro teatrale” scrive Attisani nella presentazione, e comprendiamo ancora di più il rapporto con il lavoro di Guido Guidi e la collaborazione voluta da Mariangela Gualtieri.
La fotografia di Guidi qui vive la sua profonda natura di strumento di evocazione in relazione all'evento teatrale, diventando “Magia” nel senso di “operazione che evoca l'anima delle cose” (A. Attisani). Questa serie di fotografie nomina una realtà che non si rivela. La mente-scena teatrale è osservata come una scatola piena di oggetti con una loro disposizione, flessibili ad essere spostati, e da decifrare: un pendolo, delle pietre, delle stoffe e poi le aste, come lance cavalleresche sguainate in una sfida leale tra le due donne, o come aste per il salto in alto, che qui è salto in ogni direzione, una leva per fare ingresso nel “terreno spaesato” che è tentare di comprendere il linguaggio proprio e degli altri.
Ma il corpo anticipa i movimenti della mente e lo vediamo materializzarsi nella scena di queste fotografie. È il corpo che insegna quale percorso intraprendere, che pietra spostare, che leva fare e in quale punto e momento.
La quiete quindi è forse la coincidenza tra una percezione avventurosa del vuoto e la mente, uno spaesamento e straniamento? Una rimozione di significati determinati e precostituiti che ci affollano e che scomparendo finalmente lasciano libere di fluire e autodeterminarsi in linguaggio nuovo?
Ecco lo spazio della quiete come spazio-tempo dello sguardo, che traccia la propria direzione, che osserva il mondo e lo crea: “Il tempo sta curvando il tuo spazio” - eccola quella figura curvata ed estesa dal movimento, con la plasticità dinamica di un oggetto lanciato nel tempo, distorta dalla velocità della luce.
Questo articolo è stato scritto attingendo al libro "Lo spazio della quiete" e ai suoi apparati critici e alle poche fonti online disponibili, alcune riferite al riadattamento dello spettacolo del 2009:
TEATRO VALDOCA - COMUNICATO STAMPA del 2009
CSS Teatro Stabile di innovazione
NON SOLO CINEMA
"Le origini dell'amore" - ORIENTE OCCIDENTE. Incontro di Culture
TEATRO VALDOCA - VIDEO
ARCIBOLOGNA - VIDEO
Grazie per la lettura.
Martha Micali