Il Maestro che volava alto

Luciano D'Alessandro

Avevo 14 o 15 anni quando per la prima volta mio padre mi portò a Villa Lucia a conoscere Paolo Ricci. Le visite a Paolo si ripetevano spesso, solitamente la domenica e l'occasione metteva assieme fatti diversi: la bella passeggiata nel verde del bosco di Villa Lucia scendendo dal Vomero dove abitavamo, la compagnia di mio padre che vedevo poco a causa dei suoi tanti impegni, l'incontro tra vecchi amici e compagni di fede politica. Credo proprio che in quei tempi, e per merito di quella consuetudine, imparai ad amare l'incontro con gli amici, mestiere che ancora oggi mi porto appresso e che pratico con buona volontà e dedizione.
Tra i due succedevano molte cose: il discorso sulla politica, l'arte, la vita, le idee, le speranze, il gioco, la lotta per costruire una società nuova, impegnati sullo stesso terreno com'erano e accomunati da una profonda tradizione ed esperienza antifascista. Paolo, pittore, scrittore, critico teatrale; mio padre, matematico, sindacalista, uomo colto e raffinato sempre disposto a farsi fare la pelle per un'idea.
Io ero li, testimone inconsapevole di tutto quanto accadeva, senza un progetto apparente per il futuro, con un destino ignoto, e oltre che andare a scuola come tutti gli altri, altro non sapevo. Non sapevo nemmeno quale momento di grazia stava per toccarmi.
Eravamo verso la fine degli anni '40 e tutto accadde proprio nei giorni quando mio padre con sforzo e sacrificio economico acquistò la prima macchina fotografica che portò a vedere a Paolo.
L'incontro tra i due amici allora divenne più frequente e cominciarono ad armeggiare intorno a questa novità fino a passare molte ore chiusi in camera oscura quando in casa arrivò anche un ingranditore per la stampa delle foto. Da una parte mio padre si interessava alle tecniche del fotografare, sviluppare, stampare e dall'altra Paolo metteva e punto il che fare con tali strumenti usando la sua esperienza di pittore e studioso delle arti figurative. Io mi sono trovato cosi a beneficiare di quel momento magico e mentre da mio padre apprendevo l'uso della macchina fotografica, da Paolo invece venivo a sapere che oltre alla pellicola, dentro ci si potevano infilare le idee, i sogni, le scoperte e anche la trasgressione; ma più di tutto capii che avrei potuto tentare di esprimermi attraverso la fotografia usando la curiosità che avevo per il mondo.
Fu così che Paolo nel suo studio mi mostrò i primi numeri di «Life» e di «Look», fu così che mi parlò di Cartier-Bresson, fu cosi che mi insegnò a capire la luce, fu così che abbandonai l'Università e cominciò quella che chiamo, forse esagerando, la mia grande avventura. Presi a fare il fotografo collaborando molto presto con le pagine napoletane de «l'Unità»: avevo a che fare con Mario Alicata, Renzo La Piccerella, e molti altri che lavoravano in quella redazione. In seguito per allargare i miei orizzonti, pur continuando a fotografare Napoli, cominciai a fare qualche viaggio all'estero: Parigi, la Spagna, il Marocco, la Russia e sempre quando tornavo correvo da Paolo con le foto e sempre ricevevo un contributo sulle correzioni da fare alle cose fatte, un complimento per le cose ben fatte, uno stimolo a continuare.
Le prime foto che pubblicai sul «Mondo» di Pannunzio furono accolte con gioia da Paolo, un servizio su «Cinema Nuovo» o su «Vie Nuove», o un reportage sugli zingari erano l'occasione per lunghe conversazioni, riflessioni, consigli, amicizia. La mia prima mostra a Napoli, «Taccuino di un fotografo», del 1964, ospitata dalla Società Promotrice di Belle Arti nella Villa Comunale, fu presentata in catalogo da Paolo. II mio primo libro, Gli Esclusi, mio padre non lo vide: era morto qualche anno prima, una sera, in pochi minuti, stroncato dalla sua vita di affanni. Ma lo vide Paolo e fu come se lo mostrassi ad entrambi.
E questo è continuato sempre negli anni che seguirono, fino all'ultimo, e venne il giorno in cui Paolo, tra l'altro anche abilissimo fotografo ritrattista, mi chiese informazioni sulla tecnica fotografica che in qualche modo si era evoluta rispetto ai tempi dei nostri primi incontri. Che formidabile esempio da seguire, per un giovane, questo suo comportamento cosi straordinariamente aperto da ogni lato; quale grande indicazione per capire cosi presto nella mia vita che il cercare e lo sperimentare non finiscono mai e sono alla base della conoscenza.
La scomparsa di Paolo che di certo mi ha molto addolorato non mi lascia solo: lo ricorderò sempre sorridendo, insieme all'immagine del suo amico, mio padre.

 [dal volume: Paolo Ricci. Opere dal 1926 al 1974. Catalogo della mostra al Museo Pignatelli, Napoli, 24 ottobre – 22 novembre 1987. Electa Napoli 1987]